Avete scelto: la casa dei pappagalli.


“È troppo pericoloso procedere” dice Piccio.
“Rischiamo di fare una fatica immane e di andare in una direzione completamente sbagliata” aggiunge Izzo. Anche Fillo è con loro, perché i pappagalli gli stanno simpatici da sempre.
“Va bene, si torna indietro e speriamo che questa deviazione esista - dico mentre mi rimetto l’odiato zaino – in ogni caso, una volta lì, potremo sempre chiedere al tizio”.
Con il morale a terra procediamo a ritroso, senza quasi più scambiarci parole. Ogni tanto butto gli occhi sul libro, cercando vaghe conferme che in ogni caso non trovo.

Ecco davanti a noi la casa dei pappagalli. È stranamente più silenziosa di come l’avevamo lasciata circa un’ora prima. L’uomo sembra sparito. Bussiamo alla porta. Niente. Chiamiamo, gridiamo, ma niente. Ci guardiamo intorno. In effetti una piccola deviazione c’è, ma porta solo al campo di un contadino. La casa prima è almeno due chilometri più in giù.

All’improvviso la porta si apre dall’interno. Davanti a noi, un’anziana signora dal sorriso cordiale. Non può essere. “Ma prego, entrate” ci dice, ma questa volta ammetto di non riuscire ad elaborare l’informazione ed è l’istinto ad avere la meglio: mi si rizzano i peli e il cuore inizia a battere fortissimo: non è possibile, eppure è qui. È la nonna di Giulia.
“Avanti - insiste aprendo la porta ancora di più - cosa state aspettando?”.
Senza dire una parola entriamo. Non sappiamo nemmeno noi perché ubbidiamo, perché è questo quello che in realtà stiamo facendo: ubbidire a un suo ordine, camuffato da invito cordiale.

Ci troviamo nella penombra di una stanza, fatico a distinguere i profili dei mobili e la forma delle pareti, ma ho la sensazione di avvertire altri corpi introno a noi. All’improvviso la stanza viene irradiata da una luce rossa. Su un tavolo d’acciaio ci sono pezzi umani dappertutto, mescolati ad abiti e sangue grondante. Con orrore si distinguono facilmente i corpi maciullati dei nostri amici.

Davanti a noi la signora, affiancata a destra e a sinistra da Katia e suo marito. Tutti e tre brandiscono grosse mannaie. Siamo preda di un terrore assoluto, abbiamo le spalle al muro e nessun’arma.  L’unico nostro vantaggio è che siamo in quattro.
La signora emette un urlo sovrumano e, non saprei dire da dove, forse da ogni parte o forse da nessuna si diffonde la musica di Elvis Presley.




“Siamo i Signori e Custodi di questo Cammino - dicono i tre parlando all’unisono – e voi non avete superato le Prove. Non siete degni di proseguire e verrete sacrificati agli Dei”

“Mah… noi…" provo a dire.

“Silenzio. Vi è stato offerto Cibo e voi non avete ricambiato. Vi è stata concessa la Natura Incontaminata e voi l'avete profanata con la plastica di due bottiglie. Vi è stata offerta la Musica per nutrire la vostra anima e voi l’avete rifiutata. Vi è stata data la Scelta, e voi avete preso la via errata”.

“Non mi sembrano buone ragioni per ucciderci” dice Fillo, lanciano il suo zaino contro la signora, che però lo taglia al volo con la lama della mannaia con un gesto che sembra automatico.

“Che vita schifosa” dice Fillo, mentre i tre avanzano verso di noi.

Noto un bastone, nell’angolo di fianco a me. Lo prendo al volo e colpisco Katia sul ginocchio, facendola cadere a terra. Piccio riesce a prendere la mannaia, scivolatale di mano.
Suo marito si getta verso di noi ma Piccio riesce a ferirlo alla spalla. Izzo colpisce Katia con ripetuti calci alla faccia.  Fillo e io riusciamo a tramortire la vecchia, mentre Piccio ferisce a morte il marito di Katia. Inorriditi, ci gettiamo verso la porta, ma non riusciamo ad aprirla in nessun modo. La musica di Elvis continua e i tre si rialzano senza mostrare alcun segno di lotta.

“Siete già n morti” ci dicono, parlando ancora una volta all’unisono.
“Alla testa, alla testa” urla Fillo e pianta la mannaia nel cranio del marito.
Il disco di Elvis si inceppa e per un attimo i tre sembrano bloccarsi. Quando la musica riparte, anche loro riprendono a muoversi. Io e Izzo ci guardiamo. Dobbiamo trovare il giradischi mentre Piccio e Fillo se la sbrigano con questi zombie mostruosi.

Ci guardiamo intorno ma luce rossa ci impedisce di osservare con chiarezza. Per evitare una mannaiata Izzo s’infila sotto il tavolo metallico. C’è una botola. Izzo la solleva quel tanto che basta perché io mi ci possa infilare dentro. È una specie di cantina maleodorante, stipata di pezzi umani in ogni angolo. Ed eccolo, il giradischi. Lo getto in terra fracassandolo in mille pezzi.

I tre zombie si arrestano, come automi privi di anima. È tutto finito. Mi frugo in tasca e trovo la chiave con scritto Rulot. La infilo nella serratura e ci ritroviamo davanti al cartello verde della prima tappa, la porta segreta per entrare e uscire dal Cammino.